Restauri
Ogni tipo di analisi di un bene storico artistico non può prescindere dalla sua storia lungo i secoli. Da quando è creato alla fruizione attuale sono solitamente intervenute parecchie modifiche. Nel caso di una chiesa ancora officiata le variazioni sono dovute al mutamento dei culti e delle liturgie o semplicemente alla ridecorazione degli ambienti, per il cambio del gusto, magari con l’aggiunta di nuovi spazi. Altre volte si ha addirittura una ricostruzione intera o parziale dell’edificio. Una considerazione non meno basilare da fare è che un manufatto artistico ha sovente alle spalle un percorso travagliato, fatto di spoliazioni, distruzioni, ricostruzioni. Nella maggior parte dei casi l’immagine che noi abbiamo di una chiesa medievale è falsata dai restauri in stile condotti tra Ottocento e inizio Novecento.
Gli Eremitani non hanno subito nella loro storia particolari vicissitudini di costruzione, a parte ridecorazioni che, però, non hanno interessato le strutture murarie. Le finestre, tuttavia, cambiarono foggia, e gli ingressi alle cappelle laterali furono murati. Sopra le cappelle laterali, poi, vennero eretti degli ambienti per creare la canonica del parroco dopo l’istituzione della parrocchia stessa nel 1817.
Durante il Novecento la chiesa fu interessata da due importanti campagne di restauri, entrambe dirette dall’ingegnere Ferdinando Forlati (1882-1975).
La prima tornata di lavori alla chiesa si ebbe tra il 1924 e il 1929: fu essenzialmente un normale restauro in stile, o di liberazione, tanto in voga fin dalla fine dell’Ottocento, per riportare il tempio al suo supposto aspetto medievale. I restauri hanno visto la riapertura delle originarie monofore che illuminavano la grande navata della chiesa, l’occlusione dei tre lunettoni sul lato meridionale, la stonacatura delle pareti della chiesa con conseguente riproposta della tricromia originale delle pareti, la riapertura del varco d’accesso all’anticappella Ovetari dalla chiesa e l’eliminazione della decorazione ottocentesca della parte più orientale della famosa volta a carena.
La chiesa, dopo questi lavori, riacquistò in buona parte la sua facies medievale, e probabilmente in quest’aspetto si sarebbe tramandata ai posteri se gli eventi bellici non avessero, in larga percentuale, provveduto a sconvolgerlo.
La seconda campagna diretta da Forlati tra il 1944 e il 1951 è quella che vide i lavori di ricostruzione e in parte anastilosi con i materiali originali dell’edificio dopo il disastroso bombardamento anglo-americano dell’11 marzo 1944, quando due grappoli di bombe caddero sull’edificio.
La causa dell’incursione aerea fu che nell’ex convento, dopo la soppressione, si era installato un presidio militare (la caserma Gattamelata). Un'altra motivazione è la localizzazione della chiesa vicino alla stazione dei treni, importante snodo dei traffici nel nord-est dell’Italia. Le bombe causarono la distruzione della metà destra della cappella maggiore, delle cappelle Dotto e Ovetari, della parte superiore della facciata sopra la loggia, e lo sconquasso quasi completo della volta lignea, andata distrutta a seguito dell’esplosione o carbonizzata per l’incendio sviluppatosi dall’impatto degli ordigni. Una parte consistente delle opere d’arte conservate nell’edificio andò irrimediabilmente perduta, mentre altre furono gravemente danneggiate. I lavori comportarono la demolizione delle strutture della casa parrocchiale che era stata costruita sopra le cappelle meridionali, e la riapertura degli accessi a queste dalla chiesa, operazione già ipotizzata nelle ristrutturazioni degli anni Venti ma poi non realizzata. Nel restauro sono senz’altro da segnalare le tecniche innovative utilizzate da Forlati per rimettere a piombo le murature fortemente inclinate dalla forza esplosiva e dal conseguente spostamento d’aria causato dalla caduta delle bombe, e l’uso, oltre che dei materiali abituali, anche di quelli più moderni. Le ricostruzioni presero avvio dalla parte orientale, ossia dalla cappella maggiore, Dotto, e poi Ovetari e la sua anticappella. Si riposizionarono per anastilosi tutti i frammenti di pietra sagomata ritrovati, spesso con i resti di decorazione pittorica, mentre i pezzi nuovi furono lavorati in maniera differente e su essi si pose la data. Per risarcire le murature si utilizzarono mattoni vecchi, oltre a quelli recuperati dalle parti demolite dalle bombe, per meglio armonizzarsi alle parti originali, senza scordare però nella riedificazione di evidenziare la parte originaria da quella rifatta grazie a un piccolo solco ripassato in nero. Il metodo utilizzato per rimettere a piombo le pareti consistette nell’ingabbiare la muratura sui due lati con una robusta orditura di tralicci di travi. Qui fu inserito in punti opportuni un sufficiente numero di tiranti di ferro muniti di manicotti ancorati a dei punti ben solidi. Messo il muro “in bando” disarticolandolo dalla copertura e dalle altre murature od opere a esso addossate, girando con continuità i manicotti, il muro con lievi vibrazioni tornò a piombo. A quest’operazione seguì l’iniezione ad alta pressione di leganti in cemento armato per ridare alla compagine muraria tutta la sua solidità e compattezza. A questo punto si procedette alla ricostruzione della parte superiore della facciata e della copertura lignea, utilizzando pure per quest’ultima, il materiale recuperato e tutta la grossa orditura superstite.
Le cappelle meridionali furono ripristinate e riaperte verso la navata, a eccezione della quinta e della sesta dall’ingresso che, gravemente danneggiate, furono inspiegabilmente demolite e non risarcite.