"Tra Giotto e Mantegna": l’area degli Eremitani nel contesto della città
Promuovendo la trasformazione dei due chiostri a nord della chiesa degli Eremitani come possibile sede civica museale, nel 1869 Pietro Selvatico (1803-1880) evidenziava come il complesso stesso potesse diventare un nuovo polo culturale in grado di valorizzare l’intero settore urbano idealmente compreso tra la Cappella degli Scrovegni e quella degli Ovetari: tra Giotto e Mantegna[1]. Si trattava, allora, di potenziare quella funzione aggregante esercitata fin dalle origini dagli agostiniani. Insediatisi nel 1237 nel borgo Altinate, cioè nell’area allora in condizioni semirurali compresa tra l’arena romana e la strada che da Padova conduceva ad Altino[2], favorirono con la chiesa ampliata e via via dotata sui fianchi di nuove cappelle e con gli spazi annessi del conventolo sviluppo urbano sino ad orientare il distribuirsi di un’autentica cittadella marginale[3]. La struttura del borgo viene modificata man mano che il complesso conventuale acquisisce importanza nel contesto cittadino, allargando le sue pertinenze e imponendo le proprie logiche alla struttura urbana circostante[4]. Per far posto al cimitero, ad esempio, vengono acquistate e demolite alcune case dirimpetto della chiesa[5], sul cui fianco meridionale si sviluppa un vasto spazio aperto.
Non c’è dubbio che l’idea sostenuta da Selvatico di creare una nuova cittadella della cultura nel complesso che dopo il 1806, a seguito della soppressione napoleonica, era divenuta una caserma, risultò alla lunga vincente. Con la nuova destinazione museale fu di fatto riqualificata l’intera area che affaccia a nord sul giardino pubblico, limitata a sud dalla chiesa, ad ovest dall’Arena, ad est dalla schiera di case medioevali su via Porciglia[6].
Gran parte della superficie di questo settore urbano corrisponde al complesso degli Eremitani, ovvero alla chiesa e al convento oggi sede museale. Circondato da ampi spazi aperti soprattutto a nord, il complesso si relaziona con i giardini dell’Arena delimitati dai resti dell’antico anfiteatro romano e dal tracciato delle mura rinascimentali. La piazza occupa uno spazio considerevole: si sviluppa a "L" a partire dalla facciata principale della chiesa per proseguire lungo il fianco meridionale, raccordandosi a una rete stradale e canalizia fortemente alterata in epoca contemporanea come è possibile verificare esaminando la cartografia storica[7].
Nella pianta di Giovanni Valle (1784), per esempio, accanto alla chiesa e ai due chiostri del convento, si distingue l’arena di forma ellittica e lungo il lato orientale di questa la Cappella degli Scrovegni con il sontuoso palazzo che sarà demolito definitivamente nel 1827. Oltre il sagrato degli Eremitani e una fila di edifici scorreva il Naviglio, oggi scomparso. Nel complesso l’area appare caratterizzata da abbondanza d’acqua (con il Bacchiglione che si piega leggermente in corrispondenza del bastione dell’Arena, immettendosi all’interno della città attraverso il sistema idraulico delle Porte Contarine) di spazi verdi, giardini e corti nascoste dietro le facciate degli edifici allineati lungo gli assi viari. Queste caratteristiche costituiscono l’esito di un intenso processo di urbanizzazione avvenuto nel corso dei secoli e in particolare nel Cinquecento per iniziativa dei privati, secondo la logica della cosiddetta urbanistica introversa[8], per altro estendibile ad altre città venete.
Nell’area troviamo infatti alcuni importanti esempi proprio in prossimità del complesso conventuale: la casa di Pietro Bembo su via Altinate e alle spalle dell’abside quella di Marco Mantova Benavides, il cui monumento funerario disegnato da Bartolomeo Ammannati nel 1546 è collocato all’interno della chiesa; sul lato meridionale del sagrato in corrispondenza dell’imbocco della contrada si attesta il palazzo di Foscarini sistemato all’inizio del Seicento, subentrando i nuovi proprietari veneziani ai Foscari; i Cavalli legheranno invece il nome al palazzo verso il borgo dei Carmini, alle Porte Contarine[9]. Del palazzo che i Pisani commissionarono ad Andrea Palladio proprio di fronte al sagrato della chiesa, non rimane invece traccia[10]. L’area su cui insisteva fu marginalmente interessata dai lavori di realizzazione dell’asse viario rettilineo, tangente alla zona archeologica dell’Arena, volto a mettere in diretta comunicazione l’area centrale della città con la nuova stazione ferroviaria. Il nuovo viale, completato nel 1906, se da un lato risolveva un problema di collegamento urbano, dall’altro era pensato come asse monumentale lungo il quale collocare edifici di particolare prestigio architettonico[11]. È il caso dalla costruzione del palazzo della Cassa di Risparmio, completato tra 1914 e 1916 su progetto di Daniele Donghi, sull’area resa disponibile dalla demolizione di edifici preesistenti[12]. La facciata principale della sede bancaria si rivolge verso il nuovo rettifilo in corrispondenza di quella che era la curva del Naviglio, mentre quella retrostante si affaccia su piazza degli Eremitani, imponendosi come uno dei cardini del rinnovamento urbano cui l’intera area fu sottoposta nei primi anni del Novecento. Sempre nei primi decenni del XX secolo furono realizzati i giardini pubblici alle spalle della Cappella degli Scrovegni, una delle prime opere finalizzate al rinnovamento urbanistico.
All’angolo tra il corso e la piazza fu, infine, realizzato tra 1961 e 1964 l’ampliamento della Cassa di Risparmio su progetto di Gio Ponti[13].
Se da un lato, dunque, il complesso degli Eremitani s’incunea verso la modernità, dall’altro lato con le absidi ricostruite nel secondo dopoguerra si allunga in un contesto riconducibile alla Padova medievale, benché rimaneggiato nel corso dell’Ottocento: quello di via Porciglia caratterizzato da un tessuto urbano “minore” fatto di piccole case allineate, porticate e con spazi aperti sul retro.
L’area degli Eremitani contiene dunque testimonianze significative dell’epoca antica, medievale, moderna e contemporanea, configurandosi come un sito esemplare per la storia della città di Padova.
[1] P. Selvatico, La questione del nuovo museo. Osservazioni e chiarimenti, Padova 1869; inoltre: A. Moschini, Il museo Civico di Padova, Padova 1938; D. Banzato, I musei Civici di Padova. Formazione e sistemazione delle collezioni, in Camillo Boito, a cura di F. Castellani e G. Zucconi, Venezia 2000, pp. 56-61.
[2] C. Gasparotto, La chiesa degli Eremitani e la città di Padova, "Patavium", 5-6 (1971), pp. 34- .
[3] L. Puppi, M. Universo, Le città nella storia d’Italia. Padova, Roma-Bari 1989, p. 56.
[4] S. Bettini, L. Puppi, La Chiesa degli Eremitani a Padova, Vicenza 1970. Più in generale, sulla progressiva espansione nello spazio urbano delle architetture degli ordini mendicanti, C. Bruzelius, Preaching, Building, and Butying. Friars in the Medieval City, New Haven and London 2014.
[5] A. Portenari, Della Felicità di Padova, Padova, 1623, pp. 448-449.
[6] Per una sintesi delle vicende che portarono alla realizzazione museale, si veda: A. Prosdocimi, La nuova sede per il Museo civico di Padova, "Bollettino del Museo civico di Padova", 60 (1971), 2; F. Gay, Il museo Civico di Padova nel complesso degli Eremitani, "Rassegna di architettura e urbanistica", 90 (1997), pp. 60-73.
[7] La città di Padova nel suo Catasto storico 1815-1873, a cura di F. Fantini D'Onofrio, Treviso 2012 (in particolare: G. Mazzi, Padova città un tempo d’acque, pp. 17-23); S. Ghironi, Padova: piante e vedute (1449-1865), Padova 1988.
[8] L. Puppi, M. Universo, Le città nella storia d’Italia. Padova, Roma-Bari 1989, p. 150; L. Puppi, Il rinnovamento tipologico del Cinquecento, in Padova case e palazzi, Vicenza 1977, pp. 101-140; M. Scimemi, L’architettura, in Storia dell’architettura nel Veneto. Il Cinquecento, a cura di D. Battilotti, G. Berltramini, E. Demo, W. Panciera, Venezia 2016 pp. 108-129.
[9] Puppi, Universo, Le città nella storia..., cit., p. 154-156; Puppi, Il rinnovamento..., cit.
[10] S. Tortora, Palazzo Pisani a Padova: un’opera inedita di Andrea Palladio, in Palladio 1508-2008. Il simposio del cinquecentenario, Venezia 2008, pp. 260-265.
[11] S. Zaggia, Dis-armare e attrezzare la città: mura, strade, edilizia a Padova tra Otto e Novecento, atti del Convegno di Termoli, numero monografico di «Città e Storia» Spazi e cultura militare nella città dell’Ottocento, a cura di M. Savorra e G. Zucconi, 4 (lug.-dic. 2009), 2, pp. 389-401; R. Maschio, L’architettura della «Padova Nova», in Padova case e palazzi, Vicenza 1977, pp. 271-295.
[12] C. Rebeschini, L’edificio della Cassa di Risparmio di Padova, in Daniele Donghi. I molti aspetti di un ingegnere totale, a cura di G. Mazzi, G. Zucconi, Venezia 2006, pp. 133-137.
[13] E. Verger, Ampliamento della sede centrale della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, 1961-1964, in Palazzo Donghi. Sede della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, a cura di C. Rebeschini, Milano 2002, pp. 63-81.