Jacopo da Verona
Nato intorno al 1335, e morto all’incirca nel 1442, Jacopo pictor condam domini Silvestri de Sancta Cecilia, di origini veronesi, è l’autore del ciclo di affreschi della cappella Bovi, nell’oratorio di San Michele a Padova[1]. La vicenda critica di questo pittore ha visto, soprattutto nell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, la confusione di identità con il bolognese Jacopo Avanzi, smentita dagli studi successivi sia per via documentaria che per via stilistica. L’unico punto fermo nella ricostruzione del suo percorso artistico è l’influenza esercitata su Jacopo dalle opere padovane di Altichiero, dello stesso Avanzi e di Giusto de’ Menabuoi, attivi nella basilica di Sant’Antonio, fatto che lo rende uno degli ultimi interpreti della corrente neo-giottesca prima della diffusione del gotico Internazionale.
Gli esordi del pittore si possono collocare, con molta probabilità, all’interno della bottega di Altichiero, quando questi aveva già intrapreso il cantiere del Santo: infatti una prima opera attribuita a Jacopo è un affresco staccato con la Madonna col Bambino, ora al Museo Antoniano e proveniente dal chiostro del capitolo[2]. Con maggiore incertezza, ma sempre all’inizio della sua carriera, è attribuito al pittore il lacerto di affresco raffigurante la Madonna in trono tra santi e donatori, nella cappella Sanguinacci della chiesa degli Eremitani a Padova, dipinto molto rovinato e non leggibile nella sua interezza a causa del successivo inserimento sulla parete del sepolcro di Ilario Sanguinacci[3]. Queste prime opere sono collocabili, in base al confronto con le opere padovane di Altichiero, negli anni ’80 del XIV secolo.
Una lapide presente all’interno della cappella Bovi, nell’oratorio di San Michele, lega il nome di Jacopo da Verona al ciclo di affreschi con Storie della Vergine Maria, il cui stato di conservazione ha risentito i danni del tempo e di parziali distruzioni[4]. La committenza dell’opera si deve a Pietro de’ Bovi, un esponente della corte carrarese, che intendeva celebrare la memoria della propria famiglia e dei Signori di Padova: i ritratti di Francesco il Vecchio e di Francesco Novello infatti sono inseriti nella scena dell’Adorazione dei Magi[5]. Il ciclo, eseguito entro il 1397 (data di dedicazione della cappella), è composto dall’Annunciazione, la Natività e l’Adorazione dei Magi, l’Ascensione (riquadro staccato e ricollocato sulla parete nord della cappella), la Pentecoste e i Funerali della Vergine. Completano la decorazione della cappella la figura di san Michele che pesa le anime, e nel sottarco che collega il sacello al resto della chiesa un riquadro con san Ludovico di Tolosa a figura intera, e i simboli degli Evangelisti alternati ai busti dei Dottori della Chiesa. L’attenzione della critica per quest’opera è stata altalenante, anche se negli ultimi decenni gli affreschi di San Michele sono stati riesaminati con maggiore attenzione e rivalutati come il frutto di una ormai matura riflessione sull’eredità giottesca, sia dal punto di vista della ricerca spaziale[6], sia da quello dell’analisi della realtà quotidiana e degli affetti: proprio questi elementi fanno di Jacopo un interprete abbastanza originale, e soprattutto dal gusto vivacemente popolare, della lezione di Altichiero.
A dispetto della documentazione, che ci informa a proposito della longevità del pittore[7], non sono rintracciabili testimonianze sicure al riguardo del resto della sua attività, soprattutto nella città natale di Verona. Assegnato a Jacopo e alla sua bottega è l’affresco votivo con l’abate Cappelli e i suoi monaci presentati alla Vergine da Santi, nella chiesa di San Zeno[8], datato al 1397 e ispirato nell’iconografia al dipinto votivo affrescato da Altichiero in Sant’Anastasia, su commissione Cavalli. Un’altra possibile attribuzione è riferita agli affreschi a decorazione della tomba di Giovanni Salerni, nella chiesa di Sant’Anastasia, con una datazione probabile ante 1387[9]: questi ultimi dipinti, avvicinati dalla critica ai modi di Martino da Verona, mettono in evidenza il rapporto tra Jacopo e il collega veronese, testimoniato anche da documenti dell’epoca[10]. Un possibile lavoro di squadra proprio con Martino è rintracciabile nella decorazione della zona absidale della chiesa della Santissima Trinità a Verona, risalente all’incirca all’ultimo decennio del XIV secolo: in questo caso, non è visibile un intervento diretto di Jacopo, anche se alcune figure di santi si avvicinano ai suoi modi, e potrebbero quindi essere state eseguite da un suo stretto collaboratore[11].
Riepilogando la vicenda artistica di Jacopo, si nota come le testimonianze pittoriche riferibili a lui siano tutte ad affresco, senza escludere che avesse lavorato anche su tavola, anche se purtroppo non sono giunte fino a noi opere di questo tipo. Il periodo di maggiore attività corrisponde all’ultimo ventennio del 1300, con un pieno raggiungimento della maturità artistica proprio sul finire del secolo; la mancanza di dipinti successivi a quelli noti potrebbe suggerire un calo di successo, dovuto anche alla diminuzione delle grandi commissioni, e forse un ripiego su lavori meno impegnativi e in tono minore.
[1] Per la bibliografia essenziale sul pittore, si veda C. Duò, Nuovi contributi sugli affreschi della Cappella Bovi a San Michele, “Padova e il suo territorio”, 26 (2011), pp. 17-22.
[2] La prima attribuzione è di M. Lucco, Me Pinxit: schede per un catalogo del Museo Antoniano, “Il Santo”, 17 (1977), pp. 262-266.
[3] A favore di quest’attribuzione sono G.L. Mellini, L’officina della Bibbia e Jacopo da Verona, in Bibbia istoriata padovana della fine del Trecento, a cura di G.F. Folena, G.L. Mellini, Venezia 1962, p. XXXVI e A.M. Spiazzi, Padova, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, Milano 1992, p. 158; sulle vicende riguardanti lo spostamento del sepolcro Sanguinacci, si veda J. Richards, Altichiero. An artist and his Patrons in the Italian Trecento, Cambridge 2000, p. 213.
[4] La descrizione del ciclo pittorico è contenuta in C. Duò, Pinxit quem genuit Jacobus Verona figuras: una ricostruzione del catalogo di Jacopo da Verona, tesi di laurea specialistica in Storia dell’arte, Università degli studi di Padova, relatore dott.ssa Cristina Guarnieri, anni acc. 2009-2010. Per uno studio recente sulla cappella Bovi, in particolare sui ritratti, si veda T. Ertel, Padua Regia Civitas. Identität und Gedächtnis um 1400 im Oratorio di San Michele Arcangelo; eine Fallstudie zum frühen Porträt, Kromsdorf 2013.
[5] A.M. Donato, I signori, le immagini e la città. Per lo studio dell’immagine monumentale dei Signori di Verona e di Padova, in Il Veneto nel medioevo. Le signorie trecentesche, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1995, pp. 416-454; Eadem, “Pictorie Studium”: appunti sugli usi e lo Statuto della pittura nella Padova dei Carraresi (e una proposta per le “città liberate” di Altichiero e di Giusto al Santo), “Il Santo”, s. I, 1-2 (1999), pp. 499-500.
[6] L. Baggio, Sperimentazioni prospettiche e ricerche scientifiche a Padova nel secondo Trecento, “Il Santo”, 34 (1994), pp. 173-232.
[7] G. Biadego, Il pittore Jacopo da Verona, Treviso 1906; A. Mazzi, Gli estimi e le anagrafi, “Madonna Verona”, 6 (1912), pp. 42, 54; R. Brenzoni, Dizionario di artisti veneti, Firenze 1972, pp. 110-111, 151-156.
[8] F. Pietropoli, in Pisanello: i luoghi del Gotico Internazionale nel Veneto, a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996, p. 106.
[9] C. Cipolla, Ricerche storiche intorno alla chiesa di santa Anastasia in Verona, “L’Arte”, 18 (1915), p. 163.
[10] Pietropoli, Pisanello…, cit., pp. 90-92.
[11] Ivi, pp. 110-112.
Chiara Duò